La prima regola per vendere è l'accoglienza
- Marco Gasparri
- 16 lug
- Tempo di lettura: 3 min
(Cronaca semiseria di un cliente invisibile e di un commerciante sordo)
Succede spesso, troppo spesso. Entri in un negozio – che sia a Grosseto, a Orbetello o in un paesino della Maremma non cambia molto – e appena varchi la soglia ti rendi conto che qualcosa non va.
Nessun sorriso, nessun saluto. Solo silenzio. Un silenzio strano, quasi sospettoso.
Il titolare è dietro il bancone, con lo sguardo fisso sul telefono. Forse sta leggendo le offerte del supermercato, forse risponde a un messaggio, o forse – nella migliore delle ipotesi – sta seguendo l’account Instagram del negozio stesso. Ma intanto tu sei lì, in piedi, cliente potenziale, con tempo e denaro da spendere. E sei invisibile.
Nessun “buongiorno”, nessuno sguardo, nemmeno quel minimo gesto con il mento che, da queste parti, è più eloquente di una frase. Allora cominci a girare, fingi interesse, magari sei entrato solo per curiosità, ma piano piano ti accorgi che più che cliente sembri un intruso. Ti senti fuori luogo. Come se fossi entrato a disturbare un momento privato. E a quel punto, il dubbio si insinua: resto? Chiedo? Esco?
Ecco, molti escono. Io pure.
Poi magari, qualche giorno dopo, ti capita di scorrere Facebook e leggere quel post accorato del negoziante: “La gente non entra più. Tutti comprano su Amazon. Il centro è morto. Colpa della crisi, del tempo, del Comune, della concorrenza sleale.”

E lì ti verrebbe da rispondere: guarda, forse è anche colpa tua. Che non saluti. Che non alzi lo sguardo. Che non dici nemmeno “se ha bisogno mi chiami”. Che hai dimenticato la cosa più semplice e più antica del commercio: accogliere.
Non è questione di strategie, di social media, di marketing digitale o influencer. È questione di presenza. Di relazione. Di umanità. Perché anche se viviamo in tempi digitali, le persone hanno ancora voglia di sentirsi viste, riconosciute, ascoltate.
E allora mi chiedo: davvero pensi di competere con Amazon ignorando chi ti entra in negozio? Amazon, almeno, mi chiama per nome. Mi fa trovare le offerte giuste. Mi suggerisce cose. A volte mi sembra quasi gentile, e non lo è. Tu, che potresti esserlo davvero, non ci provi nemmeno.
E non è un discorso da pubblicitari. È una questione culturale. In Maremma, il negozio non è solo un punto vendita. È un presidio umano, è un posto dove si parla, dove si chiede consiglio, dove si fa anche due chiacchiere. È un luogo di relazione prima ancora che di transazione. E se quella relazione viene a mancare, se il cliente si sente un peso o – peggio – un seccatore, allora il problema non è la crisi. Il problema sei tu.
E non serve nemmeno far finta di essere gentili. Basta esserlo. Dire “buongiorno”, dire “se ha bisogno, mi dica pure”. Non sono gesti d’altri tempi. Sono gesti necessari, attuali, vitali.
Mi capita spesso di vedere negozi belli, con arredamenti curati, merce selezionata e persino qualche pubblicità ben fatta. Ma quando entri dentro, è tutto freddo. Manca il contatto, manca il tono giusto, manca quella piccola gentilezza che fa venire voglia di restare.
E allora sì, magari anche il centro storico si svuota. Perché non è solo una questione di prezzi, di parcheggi o di orari. È una questione di atmosfera. Di attenzione. Di calore.
Le persone non cercano solo un prodotto. Cercano un'esperienza che le faccia sentire a casa, anche per cinque minuti. E se quella sensazione non arriva, la prossima volta cliccano. Comprare online, ormai, non è solo più comodo. È spesso anche più accogliente.
Ma tutto questo può cambiare, se cambia lo sguardo. Se cambia l’atteggiamento. Se capiamo che vendere, oggi più che mai, passa da lì: dalla capacità di accogliere. Di far sentire l’altro benvenuto. Insomma la prima regola per vendere è l'accoglienza.
Se vuoi davvero salvare la tua attività, forse devi cominciare non da una campagna pubblicitaria, ma da un “buongiorno” sincero. Che, tra l’altro, è gratis. E rende molto di più di quanto pensi.
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