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L'Australia vieta i social sotto i 16 anni. Finalmente qualcuno apre gli occhi.

L’Australia ha fatto una cosa che, diciamolo chiaramente, da noi non si sarebbe mai avuta il coraggio di fare: ha smesso di far finta di niente. Sotto i 16 anni, niente social.

Senza proclami, senza comitati di esperti che impiegano vent’anni per decidere il colore della copertina del report. Hanno guardato la realtà, l’hanno chiamata col suo nome e hanno detto: “Così non va.”

Perché la verità è semplice e scomodissima: i social, così come sono, non sono ambienti progettati per tutelare i minori. E non lo sono mai stati. Sono piattaforme che vivono di attenzione, di tempo trascorso, di dati, di vulnerabilità emotiva. E gli adolescenti sono, ovviamente, il gruppo più esposto.

Australia vieta i social sotto i 16 anni

E allora l’Australia cosa ha fatto? Ha tolto la benda dagli occhi. Non ha moralizzato i ragazzi: ha responsabilizzato le piattaforme.

Perché, e qui arriviamo al punto, non puoi chiedere ai ragazzi di comportarsi da adulti in un ambiente che gli adulti stessi non riescono a gestire. È assurdo, è ingiusto, ed è stato comodo per troppi anni.

La mossa australiana è stata netta: se sei una piattaforma e lasci entrare un minorenne, la colpa è tua. Non sua. Non dei genitori. Non della scuola. Tua. L’Australia non si affida più al classico “Metti una data di nascita e speriamo che sia vera”. Per impedire ai minori di entrare sui social, le piattaforme dovranno usare verifiche reali, non simboliche. In pratica funzionerà così:

  • Stima dell’età tramite selfie L’utente scatta una foto e un algoritmo certificato valuta non chi è, ma quanti anni sembra. Se il volto appare under 16, stop.

  • Analisi del comportamento digitale Il sistema controlla come si scrive, cosa si guarda, quanto velocemente ci si muove dentro l’app: se il profilo “si comporta” da minorenne, scatta l’allerta.

  • Verificatori esterni indipendenti Sono aziende autorizzate che confermano l’età dell’utente senza consegnare i dati personali al social. Dicono solo: “Sì, è maggiorenne” oppure “No”.

  • Responsabilità totale della piattaforma Se un minore passa comunque, la colpa è del social. Non del ragazzo. Non dei genitori.

Non è un sistema perfetto, ma è il primo vero tentativo di trasformare l’età digitale da autodichiarazione a dato verificato. E, soprattutto, è il primo Paese a pretendere che le piattaforme si assumano finalmente questa responsabilità.

Ed è qui che, da europei e ancora di più da italiani, iniziamo a sentirci chiamati in causa. Perché da noi questa conversazione la rimandiamo da anni, dicendo “non è il momento”, “servono studi”, “serve un tavolo tecnico”, “serve una valutazione d’impatto”.

Ma la verità è che serve coraggio. Serve la volontà politica di ascoltare psicologi, educatori, dati, scienza, e poi prendere una decisione vera.

L’Australia non ha fatto la legge perfetta. Ha fatto la legge possibile. E soprattutto l’ha fatta adesso, non fra dieci anni quando il problema sarà dieci volte più grande.

E qui, permettimi la parte antipatica: le nostre istituzioni spesso si muovono come se Internet fosse un’optional, una moda passeggera, un giocattolo tecnologico che riguarda “i giovani”. Però intanto:

  • aumenta l’ansia,

  • aumentano i disturbi legati all’immagine,

  • aumenta l’iper-esposizione dei minori,

  • aumentano i modelli tossici,

  • aumenta l’accesso precoce,

  • e aumentano le ore passate sui social… a dieci anni.

Non si tratta di proibizionismo. Non si tratta di demonizzare la tecnologia. Si tratta di chiedersi se un ragazzo di tredici anni debba davvero crescere dentro un sistema disegnato per manipolare attenzione e comportamento.

L’Australia ha risposto. Noi stiamo ancora guardando il dito invece della luna.

E allora, almeno una volta, prendiamo esempio. Non dico di fare copia-incolla della loro legge. Dico di avere il coraggio politico di guardare il problema in faccia, chiamarlo col suo nome e smettere di delegare ai social una responsabilità che non possono – e non vogliono – assumersi da soli.

Perché quando si tratta di minori, non possiamo continuare a dire che “il digitale è complicato”. È complicato sì, ma è ora di iniziare a trattarlo con la stessa serietà con cui trattiamo tutto ciò che tocca il benessere dei nostri ragazzi.

L’Australia ha smesso di chiudere gli occhi. E noi?



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25 anni di esperienza nell'ambito della consulenza marketing in tutto il centro Italia. Attivo in Toscana (Siena, Arezzo, Grosseto, Lucca, Livorno, Firenze), Umbria (Perugia, Terni), Lazio (Viterbo), Liguria (La Spezia). Altre info su: www.kalimero.it

 

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